Angela è italiana. Ha perso il lavoro, il marito lavora in una cooperativa ma per il momento non lo chiamano più, non ci sono commesse. Hanno due figli e il terzo in arrivo. Un’altra bocca da sfamare. Ma come si fa a mettere al mondo un altro figlio quando non si hanno soldi per pagare il mutuo o si stenta a fare la spesa al fine settimana? Così Angela si è presentata in ospedale, per abortire. Elena invece è una ragazza extracomunitaria, sulla trentina, ha già un figlio, è incinta ma il compagno l’ha abbandonata. E lei si trova in una grossissima difficoltà, le sue condizioni economiche sono disastrose. Altra storia. Due minorenni, lei incinta e lui che vorrebbe fare il papà. Ma i genitori della ragazzina l’hanno già portata in ospedale: non ce la fanno a crescere un altro bimbo.
La lista è lunga ma le storie di vita drammatiche si ripetono. Un fenomeno che fa paura perché è in continuo aumento, complice anche la crisi. Protagoniste donne che vorrebbero tenersi il bambino, ma rinunciano per far quadrare i conti. A volte. A volte no. Quando riescono a trovare una mano tesa che fa intravedere uno spiraglio. Nei Cav, i centri di aiuto alla vita, per esempio, ci sono operatori che ascoltano i guai ma tentano anche di risolverli. E dove non arriva lo Stato ci sono loro. Una donna che rinuncia all’aborto, per esempio, viene aiutata in diversi modi. Economicamente, intanto. Almeno 160 euro al mese per 18 mesi, sei mesi prima e un anno dopo la nascita del bambino. Ma viene aiutata anche per la spesa, (altro…)