di Lucrezia Zingale

25_pensione«Mantenendo in vigore una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a percepire la pensione di vecchiaia a età diverse a seconda che siano uomini o donne, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi di cui all’art. 141 CE» così conclude la quarta sezione della Corte di Giustizia Europea con la sentenza 13 novembre 2008.

In realtà la Corte non colpisce l’intero sistema pensionistico italiano, ma si pronuncia solo sul sistema dei dipendenti pubblici, ossia su quello dei dipendenti pubblici che beneficiano del regime pensionistico gestito dall’INPDAP, che costituiscono una categoria particolare di lavoratori.

La Corte partendo dall’assunto che la pensione corrisposta dall’Inpdap ai dipendenti pubblici rientra nella categoria retribuzione, giunge a concludere che si applica il questo caso l’art. 141, n. 1, CE, secondo il quale: ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.

Retribuzione
In base all’art. 141 n. 2, primo comma, per retribuzione si intende il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell’impiego di quest’ultimo.

È retribuzione anche la pensione…
La pensione versata in forza del regime pensionistico gestito dall’INPDAP deve essere qualificata come retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE.
Infatti, la base di calcolo di tale pensione risponde ai criteri stabiliti dalla Corte nelle sentenze Griesmar, Niemi e Maruko. «La sentenza Griesman ha qualificato come retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE una pensione il cui importo deriva dal prodotto di una percentuale applicata ad un importo base, il quale è costituito dallo stipendio corrispondente all’ultimo coefficiente retributivo applicabile al dipendente pubblico nel corso degli ultimi sei mesi di attività. Costituisce anche una retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE una pensione il cui importo è calcolato sulla base del valore medio della retribuzione percepita nel corso di un periodo limitato ad alcuni anni immediatamente precedenti il ritiro dal lavoro (v. sentenza Niemi, cit., punto 51) nonché una pensione il cui importo è calcolato sulla base dell’importo di tutti i contributi versati durante tutto il periodo di iscrizione del lavoratore e ai quali si applica un fattore di rivalutazione (v. sentenza 1° aprile 2008, causa C-267/06, Maruko)».

Si legge ancora che «di conseguenza, gli argomenti della Repubblica italiana, relativi al metodo di finanziamento del regime pensionistico gestito dall’INPDAP, alla sua organizzazione ed alle prestazioni diverse dalle pensioni che esso conferisce, diretti a dimostrare che tale regime costituisce un regime previdenziale ai sensi della citata sentenza Defrenne che non rientra nel campo di applicazione dell’art. 141 CE, non possono essere accolti. Inoltre, il fatto che l’età pensionabile sia fissata in maniera uniforme per i lavoratori che rientrano nel regime di cui è causa e per quelli che rientrano nel regime generale, ossia il sistema pensionistico gestito dall’INPS, non è pertinente per la qualificazione della pensione versata dal regime pensionistico gestito dall’INPDAP».

I destinatari del regime pensionistico INPDAP
Il regime pensionistico gestito dall’INPDAP si applica ai dipendenti pubblici che costituiscono una categoria particolare di lavoratori. Secondo la Corte «il fatto che, nell’ambito della categoria dei dipendenti pubblici, si potrebbero identificare diverse categorie non ha rilevanza in quanto questa categoria si distingue, …, dagli altri gruppi di lavoratori del settore privato o pubblico per le caratteristiche proprie che disciplinano il rapporto di impiego dei dipendenti pubblici con lo Stato».

Partendo dall’assunto che si tratta di retribuzione e che quindi si applica l’art. 141 CE, la Corte aggiunge che «come risulta da una costante giurisprudenza, l’art. 141 CE vieta qualsiasi discriminazione in materia di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile, quale che sia il meccanismo che genera questa ineguaglianza. Secondo questa stessa giurisprudenza, la fissazione di un requisito di età che varia secondo il sesso per la concessione di una pensione che costituisce una retribuzione ai sensi dell’art. 141 CE è in contrasto con questa disposizione pensionamento, di una condizione di età diversa a seconda del sesso è giustificata dall’obiettivo di eliminare discriminazioni a danno delle donne non può essere accolto».

punto_interrogativoPerplessità
1. La prima cosa che rileva leggendo la sentenza è l’inefficacia della difesa dello Stato Italiano:
Per la tempestività delle risposte…
«La Commissione si basa a tal riguardo sulla relazione dell’INPDAP del 23 dicembre 2004, che è stata allegata dalla Repubblica italiana alla sua risposta del 10 gennaio 2005 alla lettera amministrativa della Commissione del 12 novembre 2004…»

La Commissione, il 18 luglio 2005, ha inviato alla Repubblica italiana una lettera di costituzione in mora alla quale lo Stato Italiano non ha risposto.

Sul merito…
«La Repubblica italiana, pur contestando queste affermazioni per il motivo che tale relazione è basata su disposizioni precedenti alla messa in mora, ammette tuttavia che… »
«Come sostiene la Commissione, senza essere contraddetta al riguardo dalla Repubblica italiana…».

2. In realtà poteva essere utilizzato in maniera più efficace l’art. 141, n. 4, CE che autorizza gli Stati membri a mantenere o a adottare misure che prevedano vantaggi specifici, diretti a evitare o compensare svantaggi nelle carriere professionali, al fine di assicurare una piena uguaglianza tra uomini e donne nella vita professionale.

Sul punto interessante la ricostruzione e le conclusioni cui giunge Osservatorio Inca Cgil per le politiche sociali in Europa.

Vedi anche nel blog di Domenico Malara l’articolo dal titolo “Pari opportunità? Sì, ma solo per i posti di potere”.